Burning Witches – The Dark Tower


0840588173495Quando si dice che le donne siano uguali (o peggio inferiori) agli uomini nel creare e suonare Metallo si dice il falso, alla faccia delle minchiate propalate da quelli che vogliono appiattire le ovvie differenze fra uomo e donna. Le donne affrontano la materia con una peculiarità stimolante ed avvincente, anche quando si rifanno a percorsi battuti e ben conosciuti, come nel caso delle Burning Witches, agguerritissima band al femminile oggi al suo quinto album. Spesso lo fanno anche meglio, sebbene è meglio precisare che questa introduzione non vuole essere un inno al femminismo o alla sua avversa corrente. Le donne pensano diversamente dagli uomini, hanno percorsi e insicurezze che noi non sappiamo spesso comprendere, certezze granitiche e lungimiranza che non avremo mai, neanche impegnandoci. E quando buttano giù la penna per scrivere Metal si nota, eccome se si nota. Ho sempre percepito questo aspetto ed adorato il Metallo al femminile per come contribuisce ad elevare e ad ampliare le vedute di un genere sempre a rischio chiusura e riciclo. “The Dark Tower” è un disco che poggia su basi solide, Metallone che più classico non si potrebbe, eppure ammalia e travolge dalla prima all’ultima canzone. Non è facile al giorno d’oggi farsi notare o scrivere qualcosa che rimanga davvero, eppure queste ragazze hanno la capacità di scrivere pezzi strepitosi, tanto da azzeccare persino la ballad, annoso trabocchetto in cui è facilissimo cadere. La sola “Unleash the Beast” è un piccolo gioiello che vale l’acquisto di questo album, però come d’abitudine da queste parti, nominarne uno fa torto a tutti gli altri brani. E qui veramente va di lusso, anche nel pezzo “World on Fire” semi plagio di “Judas is Rising” dei Judas Priest, c’è un valore ed una capacità notevole nel irretire l’ascoltatore per poi sbranarlo senza remore. Va sottolineata la prova sublime di Laura Guldemond alla voce, dotata di ottime capacità e un’aggressività rimarchevole. Non è solo la classica sirena dai toni altissimi priva di mordente, tutt’altro. Menzione d’onore anche per Lala Frischknecht alla batteria e Romana Kalkhul, autentica valchiria armata di chitarra. A completare il quadro, il basso che cesella il tutto di Jeanine Grob e la seconda chitarra di Larissa Ernst. Una band che sembra inarrestabile, un crescendo qualitativo che continua disco dopo disco, non ignoratele, vi fareste solo del male.

Voto:
4stelle

L’assaggio del disco: “Unleash the Beast”

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Mostruose, musicalmente parlando. Ma che ve danno da magna’ in Svizzera? (p.s. la cantante Laura Guldemond è Olandese…)

Overkill – Scorched


81gizygdzkl._ac_sy355_Sul dizionario ideale del Metallo, alla voce “sganassoni” tra le innumerevoli band elencate non potrebbero mancare in alcun modo gli Overkill, sia perchè ne hanno presi a carrettate, sia perchè non lesinano mai di darne ad ogni disco. In fondo di veramente brutti forse ne hanno fatti giusto un paio, restando sempre su livelli di aggressione e freschezza compositiva piuttosto notevoli, raccogliendo meno di quanto avrebbero dovuto. L’intro Power Metal neoclassico è il fuorviante apripista di un album incazzato, incazzoso ed incalzante, occhio alle consonanti. C’è tutto l’armamentario tipico della band, rutilante Thrash metal rimbalzante, potente e scuoti ossa come solo i “gnuiorchesi” sanno fare. La loro musica è talmente personale e riconoscibile da potersi fregiare con un marchio di originalità oggi sempre più raro da trovare. Certo Bobby “Blitz” è uno di quei cantanti che riconosceresti anche con le orecchie di un altro, ma il merito della loro enorme personalità va oltre la sua ugola.

Gli Overkill hanno cambiato poco nel corso degli anni, spostando leggermente di volta in volta il focus, restando su una visione della loro musica sempre molto chiara. Non fa eccezione questo disco, un lavoro comprendente tutto il meglio possibile e auspicabile da un gruppo che ha quasi quarant’anni di carriera sul groppone. Non aspettatevi però un disco bello solo perchè uguale a mille altri, tanto meno un monolite di pezzi simili fra loro. E poi per tornare al cantato di cui sopra, un Blitz in versione “miglior Ozzy” in una traccia straniante e naturalmente sabbathiana come “Fever” non lo trovate tutti i giorni, così come faticherete a trovare un suo coetaneo pronto ad abbaiare ferocemente come un regazzetto alla prima demo in “Know Her Name”. Qui si suda, si scrivono canzoni con durata umana e soprattutto ci si crede fortissimo. Una delle qualità più belle per una band, seconda solo a quella di avere delle buone penne a disposizione. Farsi sbriciolare da questo album è quasi doveroso, anche solo per rispetto verso un gruppo così profondamente Metal da far paura.

Voto:

3stellee mezzo!

L’assaggio del disco: “Scorched”

Metallica – 72 Seasons


91nXuH6lzKL._AC_SX425_Il giallo per attirare l’attenzione, oggetti bruciati disposti con ordine e quel lettino al centro fulcro dell’immagine. Questo disco si fa capire già tutto da come si presenta : piazziamo le cose nel giusto ordine come ci si aspetta, un colore inusuale che distrae e tutto funzionerà. Con me non ha funzionato cari ‘Tallica. Non sono mai stato un detrattore, io quando uscì “Load” non capii, ma mi adeguai, come diceva un famoso sketch d’altri tempi.

Era quella la strada che avevate scelto, il modo per essere sinceri con voi stessi e con chi vi ascolta. Non siamo più le bestie affamate che hanno ipnotizzato il Metallo tutto, non lo siamo più. Prendeteci per quello che siamo oggi, oppure dimenticateci e lasciateci divertire. Avessero detto queste parole li avrei considerati eroi, un gruppo ancora una volta da ammirare per aver tracciato una strada nuova.

Quella copertina è posticcia come la vostra musica da decenni: i brani che iniziano tutti allo stesso modo, colpa anche di Lars che li suona tutti uguali e Kirk…meglio non sparare a zero su un bersaglio immobile. In sostanza non ci sono differenze con il precedente album che oggi non ricorda nessuno, forse qualche furbata in più e poco altro. Hai voglia a disporre oggetti e canzoni in modo ordinato, sta proprio lì il problema. Il giallo della copertina pronto a distrarre e ad attirare l’ascoltatore è ben individuabile in “Lux Aeterna”, l’unico brano sotto i quattro minuti, una canzone che qualsiasi gruppetto della nuova ondata di prosecutori del classico Metallo, avrebbe scritto in due minuti saccheggiando i gruppi della NWOBHM. Ottima per far vedere che siete tosti. Peccato sia un mostro di Frankestein del già sentito alle orecchie di chi non è nato ieri. La piccola gemma è la canzone più lunga, quella “Inamorata” che in undici minuti si affida ad un Hard gradevole, una pietra solida su cui dimostrare il mio teorema iniziale: Lars è più a suo agio e la band si concede una chiusura discreta, libera dalla malsana idea nel voler inseguire il Metallo a tutti i costi. Ne avessero dimezzato la lunghezza, avrei apprezzato ancor di più. A proposito, spero qualcuno mi spiegherà un domani perchè le canzoni dei gruppi storici devono lievitare proporzionalmente con l’età. Quelle dei gruppi che non hanno più grandi idee, beninteso. Non che quando rimangano più stretti con i tempi vada meglio, inspiegabile il plagio ad “Highway Star” dei Deep Purple in “Screaming Suicide”, brano di una bruttezza inenarrabile, uno scarto buono per le ristampe messo al terzo posto della scaletta, a riprova che non buttano via niente, un vero approccio norcino al Metallo.

Sono giusto due esempi, necessari per comprendere il peso di un disco pesante nel modo sbagliato, se mi passate la battuta.

Ci sono momenti gradevoli, è comunque meglio di tante robe uscite a loro nome,  eppure questo “72 seasons” a me serve giusto per andare a rispolverare l’ultimo dei Megadeth e vederlo sotto una luce diversa. Trai soliti echi e rifacimenti del Black Album, pipponi lunghissimi dove si suonano addosso praticamente lo sapete già cosa troverete qua dentro.

E a quanto pare va bene così per molti.

Voto:

2stelle

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“Vai piano, pensa a noi!”

Il disco della settimana su Twitch: Cradle of Filth – Cruelty and the Beast


banner-disco-settimana-copiaOgni settimana sul mio canale Twitch inserisco un disco dalla mia collezione nell’inquadratura, ho deciso di scriverci due righe con una rubrica apposita. Se passate di là, salutatemisenza impegno. Certo, se non seguite il canale mi fate un po’ male ma vi adoro lo stesso. Per le puntate precedenti clicca QUI.

71dZXRlGTUL._AC_SL1500_Conosco bene la fama dei CoF, di Dani Filth e di tutto l’odio che si portano appresso. Sempre fregato meno di zero. A me quelle copertine, quelle photosession piene di vampirismo didascalico e soprattutto di bellissime modelle gothic, son sempre piaciute in modo esagerato. Figuriamoci quando uscì questo “Cruelty and the Beast” con quella copertina mostruosamente bella: ne fui catturato. Leggevo avidamente le interviste fiume senza aver mai ascoltato una nota della loro musica. La prima canzone che ascoltai della band inglese fu “Her Ghost in the Fog”, grazie al videoclip trasmesso nei soliti canali televisivi, citati nei capitoli precedenti di questa rubrica. Non mi dispiacque affatto, pur amando infinitamente di più altri gruppi a cui venivano accostati, impropriamente. La folgorazione la ebbi quando li vidi sul palco del Gods del 2001, quello con due palchi all’interno di un infuocato Palavobis. Roba da tortura messicana che chi c’era non dimenticherà mai. Due modelle nude ai lati del palco, non ricordo altro. Mi bastò per fare il passo. Oggi ho tutta la discografia, compresi gli album super mosci come “Thornography”. “Cruelty…” è speciale, fa parte del poker dei miei preferiti dei Cof, insieme a “Dusk…”, “Darkly Darkly…” e “Midian”. E’ un concept album, tutto serve al racconto, a partire dalla copertina e dall’artwork nel booklet, stampato con caratteri così minuscoli che si faticava a leggerli già allora. Una storia succosa, adocchiata da molti altri gruppi, qui sviluppata con la giusta morbosità: come puoi narrare di una contessa serial killer che tortura e uccide giovani donne senza essere un minimo torbido? Dietro questo importante pacchetto esteriore esplode la musica naturalmente, un  Metallo feroce e di gran caratura, elegante persino. Il disco è ottimo, i CoF erano al top della forma, violenti e suadenti. Sound tiratissimo che incorpora riffoni figli degli Slayer e blast beat incazzati. Tastiere ed inserti raggelanti, atmosferici e impalpabili amalgamati con grande cura nell’insieme. Persino Dani in questo album non dispiacerebbe ai suoi detrattori, che comprendo benissimo.

Roboante e poetico, erotico e infingardo, scorre impetuoso come un fiotto di sangue scarlatto.