Non sono sempre stato appassionato dei titoli From Software, quelli del post Demon’s Souls come Dark Souls, Dark Souls 2. Per molti i titoli From sono da masochisti, per puristi “hardcore” che godono a farsi picchiare e lo pensavo anche io prima di sprofondarci dentro. Seguendo una filosofia orientale che forse non potremo mai capire appieno, l’autore del gioco, Hidetaka Myiazaki, dà al giocatore la piena responsabilità delle sue azioni, sta al suo occhio cogliere i modi migliori per abbattere una bestia enorme apparentemente invincibile, siamo noi che dobbiamo intraprendere un percorso di miglioramento che passa attraverso il sacrificio, la fatica ed il perfezionamento. Tutto questo sarà fonte di enorme appagamento che non si risolve solo nella visione della parola “Fine”. E se non lo si prova, non si può capire. La mia passione per questo tipo di giochi difficili, dall’alto tasso di sfida e bestemmie è nata dopo le insistenze di un amico che mi suggeriva di giocarli. Ho cominciato da Bloodborne, cominciando anche a seguire uno dei migliori Youtuber italiani che si occupano di questi (ed altri) titoli, Sabaku No Maiku. La caratteristica ed il fascino di questi giochi non è solo l’elevata difficoltà, ma anche un’attenzione maniacale per i dettagli, elementi necessari che servono a comprendere la storia e l’impatto che le nostre azioni in gioco hanno su di essa. Per comprendere il percorso che stiamo affrontando abbiamo solo gli indizi dati dai vai personaggi che incontreremo e le descrizioni degli oggetti che troveremo, persino l’ambientazione offre spunti a chi sa andare oltre l’apparenza e l’ermetismo di cui sono impregnati questi giochi. Sta al giocatore infatti approfondire la cosidetta “lore”(sapere, conoscenza) delle terre che andremo ad esplorare. Nei titoli From nessuna “X” ti indica dove andare, nessuno ti dice chiaramente cosa devi fare per andare avanti e capire perchè stai affettando nemici come non ci fosse un domani. Il fascino di questa scelta consente una miriade di approcci, si può andare avanti infischiandosene del perchè e del percome, ma credetemi, vi perdereste la parte migliore. E tutto questo si deve alla genialità di Myiazaki, un vero genio nel confezionare giochi che contengano storie enormi e profonde abbinate ad un gameplay unico.
Dopo aver spolpato Bloodborne e recuperato i due precedenti capitoli della saga di Dark Souls, ho atteso febbrilmente l’uscita del terzo capitolo, evitando come la peste anticipazioni e spoiler, scegliendo di non vedere neanche immagini e video “in game” per mantenere viva la sorpresa durante la mia esperienza di gioco. E finora è stata pura magia tutto quello che ho visto, ho circa venti ore di gioco e sono incredibilmente coinvolto e soddisfatto. Il gioco esce ufficialmente oggi, ma io ho potuto metterci le mani Sabato, grazie all’amico di cui sopra, per mia fortuna è riuscito a comprare il gioco in anticipo in un negozio consigliato da un nostro amico comune.
In questo terzo capitolo c’è tutto il background classico di ogni “souls”, amplificato all’ennesima potenza: un sistema di combattimento all’arma bianca profondo e adattabile al proprio stile di gioco, aree da esplorare per scoprirne ogni anfratto nascosto, uccidere nemici spietati e boss difficilissimi dai quali assorbire “anime”, elemento necessario per aumentare le proprie caratteristiche fisiche e comprare oggetti. Soprattutto non manca lo spettro della morte, qui morirete moltissimo, come mai avete pensato si potesse fare in un videogioco. Prima imparate ad accettarlo, meglio sarà. Morire in DS non è solo una sconfitta quanto un modo per apprendere e diventare più abili, serve ad imparare le mosse dei nostri nemici così da non farci più beffare quando proveremo ad affrontarli di nuovo. Quando si muore si rinasce dall’ultimo falò acceso, una specie di checkpoint attivabile in ogni area, dal quale potremo ripartire come se nulla fosse accaduto. L’unico problema è che alla morte perderete tutte le anime accumulate fino a quel momento. Potrete recuperarle arrivando nel punto in cui siete stati uccisi, sempre che non veniate ammazzati di nuovo prima di averle recuperate, in quel caso potete salutarle per sempre. Questa meccanica unica ha dato vita ad un genere di videogiochi chiamati “soulslike”, dove la tensione e la paura di perdere tutto quello che abbiamo accumulato aggiungono uno spessore imparagonabile a qualsiasi altra esperienza videoludica. Esplorare va fatto in maniera circospetta e prudente, perchè anche un nemico apparentemente insignificante può ucciderci in un attimo se preso alla leggera, figurarsi quando abbiamo un bagaglio di anime consistente.

L’ottimo editor ci permette di creare un alter ego che più ci piace. Io come mia tradizione, ho creato un personaggio femminile.
I nemici presenti nelle aree ora sono molti di più, il sistema di combattimento è stato reso meno farraginoso e statico, prendendo la frenesia e la velocità degli scontri che tanto ho amato in Bloodborne. Non siamo a quei livelli di concitazione, però la differenza con il passato si sente. Il nostro alter ego è molto più reattivo, si muove veloce e fluido, gli attacchi sono precisi e richiedono tempismo e conoscenza dell’arma per risultare efficaci. Tra le altre immense qualità di questo titolo infatti riluce l’importanza che assume conoscere il proprio modus operandi in fase offensiva e difensiva. Un’arma dev’essere l’estensione del nostro braccio, gli attacchi devono fluire in maniera naturale e spontanea, pestare sui tasti non vi porterà molto lontano. Non vi ho detto che il nostro personaggio ha una barra che limita le sue prestazioni? Oltre alla barra della Vita, c’è da tenere sotto occhio quella della “stamina”, ovvero l’energia che impieghiamo nel compiere azioni: si consuma ad ogni attacco, parata, scatto, salto e si ricarica quando stiamo fermi. Se malauguratamente se ne resta senza si è alla mercè del nemico, quindi va gestita con sapienza. Come se non fosse già abbastanza dura vero?
La grafica è figlia diretta di Bloodborne e del suo motore grafico, forse non il più impressionante e performante sul mercato, ma capace di immergerci in un mondo medievaleggiante, ricco di cose da vedere. La struttura delle aree, i collegamenti fra esse e gli ampi scorci sono quanto di meglio abbiamo mai apprezzato in un “souls”, sebbene il primo capitolo detenga ancora il primato di migliore interconnessione e coerenza fra le varie aree.
Il consiglio, se non avete mai provato un souls è quello di cominciare. Anche da questo, magari vi perderete le citazioni ed i rimandi ai vecchi titoli, ma fate sempre in tempo a recuperarli in seguito.